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Dott. Roberto Moneta

Dott. Stefano Moneta

L’INFIAMMAZIONE
Oggi vi voglio parlare di un processo, quello dell’infiammazione, spesso misconosciuto e 

considerato negativo. Quante volte vi siete sentiti “infiammati”, lamentando un certo fastidio ?Quante volte avete maledetto quella parte del corpo che vi faceva male?
Beh, fa tutto parte del gioco, anzi, è stata una fortuna.
Adesso vi spiego perché.
Innanzitutto le presentazioni.
Cos’è l’infiammazione?
È un processo fisiologico, un meccanismo di difesa non specifico che ha come scopo la guarigione e la ripresa funzionale di un tessuto danneggiato.

 

Questo in generale. Scendendo nel particolare posso dirvi che come un seminarista conosce i dieci comandamenti, un farmacista può enunciare i sintomi dell’infiammazione (esame di patologia, terzo anno – almeno ai miei tempi.. ).
Che, nella fattispecie, sono:
Dolor, Rubor, Calor, Tumor e Functio Laesa.
Prima di analizzarli, però,è bene farsi un’idea di cosa accada in realtà quando “qualcosa si infiamma”.
Il primo passo è il danno tissutale.
Mi spiego con degli esempi.
Andate a un concerto e cantate tutta la sera? La gola (il tessuto) si infiamma. State tutto il giorno sotto il sole senza protezione? La pelle (il tessuto) si infiamma. Inciampate e vi storcete una caviglia? Insomma, avete capito.
Una volta avvenuto il danno cosa si verifica? Che i vasi sanguigni di quel determinato punto (distretto, se vogliamo darci un tono) si dilatano e dal torrente circolatorio si riversa una serie di mediatori dell’infiammazione nel tessuto circostante (immaginate una conduttura che perde e che lascia filtrare liquido intorno). Questi mediatori – citochine – servono da richiamo per altre sostanze infiammatorie e nel tempo per cellule del sistema immunitario. In questa maniera si chiariscono i sintomi:
Dolor: la parte infiammata inizia a far male, colpa di sostanze “algogene” (che creano dolore) che sensibilizzano le terminazioni nervose, che a loro volta portano lo stimolo al cervello, rendendolo percepibile (il che è un bene e una protezione, se immaginate di afferrare una padella che scotta e di lasciarla immediatamente proprio per via del dolore).
Rubor: la parte si arrossa, stretta conseguenza del richiamo di sangue che affluisce.
Calor: la parte “si infiamma”, cioè si riscalda, proprio perché il sangue genera calore.
Tumor: si crea edema, ristagno, gonfiore, per via del fatto che si accumula plasma (la cui finalità è anche diluire, cioè rendere inoffensive le eventuali tossine presenti; pensiamo a cosa accade per una puntura di insetto).
Functio laesa: perdita di funzionalità. La voce scompare, la pelle tira, la caviglia non ci permette di appoggiare il piede a terra; in pratica siamo impediti nel fare le cose con normalità.
Ma arrivati a questo punto, possiamo dire che l’infiammazione sia un bene?
Ci vuole un’ulteriore precisazione.
Non esiste un solo tipo di infiammazione, ma ne esistono due.
L’infiammazione acuta e l’infiammazione cronica.
L’infiammazione acuta è quanto vi ho descritto finora. La sequenza è
Danno tissutale, infiammazione, riparazione del danno, guarigione. Il tutto in un ristretto lasso di tempo (qualche giorno). Questo è il processo infiammatorio nel suo svolgimento consueto.
L’infiammazione cronica invece si differenzia per la durata, molto maggiore e per il peggioramento progressivo del problema, proprio perché la mancata guarigione prolunga i tempi e incrementa le difficoltà di risoluzione. Questo tipo di infiammazione si verifica in determinate patologie o condizioni cliniche ma anche in virtù del fatto che a volte l’infiammazione acuta non viene “gestita” nel modo corretto.
In questo caso si instaura un circolo vizioso fra danno e riparazione. Le cellule deputate alla risoluzione del problema (immunitarie) possono diventare la causa stessa del danno (un esempio sono le patologie autoimmuni, in cui tali cellule non distinguono fra ciò che devono distruggere e ciò che devono preservare). In altri casi è il processo acuto che viene interrotto perché viene stroncato anziché essere “supportato”.
Mi dilungo in una breve anticipazione di un articolo che pubblicheremo prossimamente accennando al fatto che già di per sé, ogni giorno, noi ci infiammiamo continuamente. Il nostro organismo consuma risorse e distrugge tessuti, mentre li ripara e reintegra le sostanze di sera. L’infiammazione è un meccanismo fisiologico che si verifica anche quando non sentiamo sintomi (ovviamente in maniera più lieve). Senza infiammazione andremmo in uno stato di continua usura, capite quindi che è consigliabile “favorire” l’infiammazione anziché contrastarla.
Farmaci antinfiammatori.
Li abbiamo usati tutti, alcuni di noi ne abusano.
Finalità? Disinfiammare, toglierci di dosso quei fastidiosi sintomi di cui vi ho parlato all’inizio. Ne esiste un’ampia gamma, sono i cosiddetti FANS – farmaci antinfiammatori non steroidei.
Inibitori della COX (ciclossigenasi)
Questi farmaci esercitano un’azione di blocco (inibizione) su una proteina, la Ciclossigenasi, un enzima che partecipa ai meccanismi infiammatori producendo sostanze chiamate prostaglandine a partire dall’acido arachidonico, presente nelle membrane cellulari.
Inibire la COX significa fermare sul nascere l’infiammazione, riducendo gran parte dei sintomi ad essa correlati (dolore, febbre, aggregazione piastrinica). Il problema nasce da un fatto: la COX esiste in più forme (varianti), ognuna con specifiche caratteristiche.
La COX-1 è presente in molti tessuti e sempre attiva anche in condizioni di omeostasi. Il suo è un ruolo regolatore a livello gastrointestinale, renale e piastrinico (fluidificazione del sangue); la COX -2 invece si attiva solo in corso di infiammazione per generare appunto mediatori infiammatori. La maggior parte dei FANS blocca non selettivamente la COX-1, con la conseguente comparsa di effetti collaterali piuttosto noti (su tutti, la gastrite da antinfiammatori). Fanno parte di questa classe: acido acetilsalicilico, ibuprofene, naprossene, ketoprofene e altri. Nel tempo sono stati creati degli inibitori selettivi della COX-2, il cui utilizzo però non è libero ma subordinato a prescrizione medica; questi farmaci bloccano selettivamente l’enzima attivo solo in corso di infiammazione e vengono utilizzati nella cura di patologie croniche dovute ad infiammazione.
Caso a parte è quello del paracetamolo che esplica più che altro azione antipiretica (riduzione della febbre) e analgesica. La sua azione antinfiammatoria ridotta lo rende sì meno potente rispetto agli altri ma anche più sicuro e meno tossico (ricordiamo comunque che viene metabolizzato a livello epatico, per cui occorre non abusarne). Un suo sicuro pregio è la non interferenza nei processi fisiologici di recupero dal danno.
Quindi cosa è opportuno fare?
Distinguiamo.
Se la patologia è importante, cronica, o se i sintomi acuti sono seri, parola al medico e fine del discorso.
Se però il fastidio è lieve e non comporta più di uno sforzo di sopportazione, forse non è una cattiva mossa decidere di non neutralizzarlo. Il presupposto è che il corpo sa cosa fare molto meglio di quanto pensiamo di saper fare noi. Inoltre, riducendo la quantità e la frequenza di uso di farmaci, ci restano due vantaggi: meno chimica nell’organismo (con sentiti ringraziamenti da parte di fegato, stomaco e reni in primis) e maggiore efficacia al momento di un trattamento futuro (se a ogni minimo dolore buttiamo giù una pasticca, a lungo andare non ne trarremo lo stesso beneficio e tenderemo ad abusarne).
D’altro canto esistono numerosi prodotti ad azione antinfiammatoria di origine naturale (arpagofito, arnica, boswellia, mirra etc.. ) combinati in maniera tale da ridurre l’incidenza del sintomo senza però interferire sul processo di recupero. Ricorrere a prodotti simili anziché ai classici FANS può essere una valida strategia, magari consigliati sul come e sul quando da chi qualcosina la sa (dottor internet e i farmacologi della porta accanto lasciamoli stare), senza snobbare per partito preso l’omeopatia, che quanto ad efficacia regge spesso il confronto, per di più senza noie collaterali.
Un’ultima considerazione a parte sugli ENZIMI PROTEOLITICI
Un valido aiuto per accelerare la risoluzione di un’infiammazione sono queste sostanze di origine naturale, le più famose BROMELINA e PAPAINA.
La prima viene estratta dall’Ananas, la seconda dalla Papaya; entrambe hanno la capacità di “digerire” i detriti infiammatori, quell’accumulo di sostanze che si crea durante il processo di guarigione e che, se non rimosso nei tempi giusti, innesca il circolo vizioso dell’infiammazione cronica. Queste sostanze aiutano ad eliminare il ristagno di liquidi che crea edema e dolore attraverso un meccanismo in cui è coinvolta una proteina plasmatica, l’alfa-Marcoglobulina.
Si tratta di una proteina ubiquitaria che circola nel sangue ed è adibita al trasporto di sostanze pro-infiammatorie. Queste sostanze vengono “catturate” da questa proteina, che le lega e le rimuove dal sito infiammatorio proprio grazie all’azione di bromelina e papaina, che agganciandosi alla struttura proteica ne modificano la conformazione aumentandone l’affinità per le prostagliandine.
Spesso snobbati – o peggio, non conosciuti – questi due enzimi risultano di notevole aiuto nella cura di patologie infiammatorie con il non trascurabile vantaggio di favorire anche la digestione gastrica, solitamente complicata dall’impiego dei farmaci antinfiammatori. Affiancarli a una cura sintomatica non è solo una mossa utile, ma intelligente.

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