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Dott. Roberto Moneta

Dott. Stefano Moneta

Genetica ed Epigenetica: predestinazione o libero arbitrio in ambito biologico?
Sono trascorsi pochi giorni dal 67mo anniversario della scoperta del Dna. Era il 25 aprile 1953 e Watson e Crick, poi insigniti del Premio Nobel, presentavano al mondo la famosa doppia elica. Da allora in poi le conoscenze si sono ampliate e l’intero codice genetico umano, all’epoca continente inesplorato, è stato mappato.
Tutti noi conosciamo il DNA, quantomeno per sentito dire. Basta accendere la tivù su un poliziesco. È la parte delle nostre cellule che “parla di noi”, che ci definisce in contrapposizione agli altri, che certifica la nostra unicità. Tant’è che la scientifica lo usa come prova.

Ma cos’è, precisamente, il Dna e cosa stabilisce?
È una molecola complessa e misteriosa che ha dato adito a una forte spaccatura fra gli scienziati.
Alcuni, come il suo scopritore Crick, hanno generato una corrente di pensiero detta “riduzionista” secondo cui la vita non sarebbe altro che la trasposizione delle informazioni genetiche sul piano biologico. Altri, capitanati da Waddington, hanno portato avanti un’idea “sistemica”, in cui le informazioni rappresentano solo una parte della vita, la quale non è predeterminata, ma scaturisce dall’interazione fra l’individuo e il suo ambiente.
Prima di inoltrarci nel dibattito, però, conosciamo meglio questa molecola.
Il DNA
Tecnicamente è l’acido desossiribonucleico, presente nel nucleo di ognuna delle nostrecellule. La struttura è a due filamenti intrecciati tenuti insieme da legami chimici specifici. È costituito da quattro tipi di basi azotate che si ripetono per tutta la lunghezza, ognuna unita a uno zucchero e a gruppi atomici contenenti fosforo. Le basi sono sempre legate a coppie: la citosina con guanina e l’adenina con la timina. Il Dna racchiude tutte le informazioni all’interno dei cromosomi (agglomerati di Dna) a loro volta suddivisibili in geni, porzioni più o meno lunghe di sequenze di basi.
Se volessimo fare un’analogia, potremmo pensare al Dna come alla tastiera di un pianoforte e alla variabilità infinita delle sue informazioni come alle musiche chepotrebbero essere suonate. Le note sono le stesse, ma la melodia può essere molto diversa.
Ciò significa che pur essendo ristretto il materiale di partenza (in termini di tipologie di basi, non di numero di combinazioni!), da quello stesso materiale possono scaturire prodotti infiniti.
Il Dna umano è costituito da circa tre miliardi di basi azotate. Sì, tre miliardi, avete capito. Ma come si passa dalla chimica a qualcosa di vivo? Come si traduce una sequenza di basi in un organismo vivente?
Serve qualcuno che suoni il pianoforte.
RNA messaggero (mRNA)
L’Rna (acido ribonucleico) è ”il fratello” del Dna, ma con struttura e funzioni ben distinte. Intanto è un singolo filamento e il suo compito non è di “contenere” le informazioni bensì di renderle accessibili, affinché vengano convertite in proteine.
L’informazione contenuta nel Dna di per sé sarebbe inutile, un po’ come la tastiera se nessuno la suona. Per sopperire a ciò, quando la cellula ne ha necessità (riproduzione, stimoli metabolici, biochimici e ambientali) entra in funzione un enzima che taglia e separa un tratto dei due filamenti e, prendendo come stampo una sequenza di basi, su di essa costruisce un filamento di RNA.
Terminato il processo, il Dna viene “ricucito” e l’Rna innesca la sintesi proteica, come in una catena di montaggio. La proteina svolgerà la sua funzione, la stessa che era “quiescente” nel Dna.
TEORIA RIDUZIONISTA
La corrente di pensiero conseguente alla scoperta di Watson e Crick viene detta riduzionista o anche determinista, perché “declassa” la vita ad una sequenza di informazioni archiviate negli acidi nucleici.
Ogni caratteristica di un vivente corrisponde a un gene del suo Dna (sequenza di basi).
Citando Bottaccioli, secondo tale visione “ si presuppone che le cause e gli effetti siano legati da leggi lineari che possono essere invertite nel tempo e che quindi consentano di ricostruire all’indietro le condizioni iniziali di un fenomeno.. “ e poi ancora “ ..la ricerca delle cause segue la procedura analitica che consente di scendere dal complesso al semplice con l’obiettivo di trovare a questo livello i determinanti molecolari “.
Come dire, conoscendo il gene si può prevederne il prodotto e, nel caso sia esso qualcosa di patologico, intervenire preventivamente.
Ciò significa che è possibile stabilire in anticipo quali caratteristiche svilupperà un individuo in ogni ambito del suo essere: biologico, patologico, psicologico e comportamentale. Proprio questo scopo è stato centrale per il cosiddetto “Progetto Genoma”, l’ambizioso sogno dei genetisti dei primi anni Duemila che si sono adoperati per conoscere il Dna in ogni suo frammento. L’idea era appunto di scovare, nelle sequenze geniche, i singoli tratti di una caratteristica e di identificarla attraverso uno studio allargato su un numero il più possibile ampio di campioni.
Vi faccio un esempio: la depressione (ma avrei potuto scegliere il diabete, l’autismo, la fibrosi cistica o qualsiasi altra problematica).
Se volessi sapere se esista un rapporto tra depressione e un determinato gene (e quindi effettuare mosse preventive) non dovrei far altro che raccogliere campioni genetici di pazienti depressi e confrontarli con altrettanti campioni di soggetti sani. Evidenziando le difformità, potrei scoprire la causa genetica della malattia.
Questo ovviamente non solo per le patologie, ma per qualunque caratteristica biologica, psicologica e comportamentale (altezza, intelligenza, orientamento sessuale, talento per determinate discipline etc).
L’idea è che il portatore di un determinato gene sviluppi quell’informazione perché “destinato a farlo”, mentre al contrario chi non lo abbia sia tutelato (o sfavorito, se trattasi di potenzialità positiva).
I figli di Brad Pitt e Angelina Jolie, per esempio, saranno anche loro bellissimi?
La risposta è non per forza. (e non solo perché sono adottivi :-))
La teoria riduzionista deve fare i conti con evidenze secondo le quali la maggior parte delle caratteristiche umane (es. l’intelligenza) non fanno capo ad un singolo gene, ma siano “poligeniche” e soprattutto scaturiscano dalle sollecitazioni ambientali, vale a dire da quanto quel gene venga o non venga stimolato ad esprimersi.
L’esempio più lampante sono i gemelli monozigoti (ossia aventi identico codice genetico) i quali, pur essendo individui esattamente uguali, non sviluppano le stesse malattie né le stesse caratteristiche se lo stile di vita è differente. Ciò vuol dire che l’interazione con l’ambiente ha la sua preponderanza. Viene quindi da annuire all’affermazione/battuta secondo cui caratteristiche complesse (come ad esempio il quoziente intellettivo) non facciano capo solo al codice genetico, ma anche a quello postale (non conta solo il dna ma l’educazione, la famiglia, il livello scolastico, economico etc.. ).
Quindi?
Passiamo all’altro lato della medaglia, quello del modello epigenetico.
TEORIA SISTEMICA
Se per il Riduzionismo è il Dna a comandare e la vita si svolge secondo la sequenza Dna -> Rna -> proteina, l’Epigenetica si avvale di prove e scoperte che sgretolano tale teoria.
Per esempio:
  1. di tutto il Dna umano, soltanto l’1% è codificante. Ciò significa che il restante 99% svolge altre funzioni. Basterebbe ricordare che la natura non crea nulla per caso per mettere già in dubbio i paradigmi deterministi.
  2. un singolo gene può codificare per più proteine, non c’è una corrispondenza uno ad uno fra informazione e prodotto finale (splicing alternativo).
  3. microRna. Tipologie di RNA aventi azione inibitoria su altri Rna messaggeri, impedendo quindi al Dna di trasmettere le informazioni.
  4. proteine che attivano o disattivano le sequenze geniche, a riprova del fatto che la cascata non è verticale dal Dna in giù, ma avviene anche in senso inverso.
Limitandoci al punto uno, la maggior parte del Dna non codifica per proteine ma ha attività biochimica, producendo tipologie di RNA con funzioni regolatorie ed epigenetiche, funzioni che sarebbero alla base dei meccanismi evolutivi.
Pensiamo ad esempio al rapporto fra uomo e scimpanzè. Concordando sul fatto che a volte la differenza è sottile (e non per merito degli scimpanzé), nonostante una sovrapponibilità della quasi totalità del genoma, possiamo affermare con relativa certezza che si tratta di esseri completamente diversi.
In termini numerici, dei famosi tre miliardi di basi, soltanto 30 milioni (l’1%) si differenziano fra le due specie. Ciò vuol dire che non contano i singoli geni, quanto la loro espressione. Veniamo dunque all’epigenetica.
EPIGENETICA
È lo studio dei cambiamenti dell’espressione genica non determinati da mutazioni e che possono essere ereditabili.
In parole accessibili: nel Dna sono racchiuse potenzialità evolutive che l’individuo può mettere in campo qualora l’ambiente lo stimoli a farlo; tali potenzialità possono essere trasmesse alle generazioni successive.
L’Epigenetica quindi descrive una serie di cambiamenti adattativi che possono essere sia fisiologici che patologici. Tali cambiamenti sono reversibili.
Gli effetti dell’epigenetica sono riscontrabili in tutte le fasi di vita di un organismo, a partire dalla fecondazione, continuando nell’embrione e poi nell’individuo pienamente formato e adulto.
La segnatura dettata dai meccanismi epigenetici andrebbe considerata come un nuovo assetto cellulare (funzionale o disfunzionale) che passa alle generazioni successive quando la cellula si divide. Tale assetto si stabilisce come risposta adattativa alle sollecitazioni ambientali.
Essendo preponderante l’interazione con l’ambiente (dove per ambiente è da intendersi non solo il contesto fisico in cui si vive, ma l’alimentazione, l’attività fisica, i rapporti umani di ogni tipo, la gestione dello stress, le emozioni etc.) va da sé che migliorarlo ha un impatto positivo sulla qualità della nostra salute.
Ecco perché oltre alle cure chimiche classiche prendono sempre più piede le cosiddette cure alternative, quelle che mirano a ristabilire l’equilibrio psico-emotivo dell’individuo.
Tanto per fare un esempio siamo circondati da decine di prodotti chimici (inquinanti, pesticidi, tensioattivi, conservanti e chi più ne ha più ne metta) che oltre a determinare tossicità diretta hanno la spiacevole caratteristica di agire in maniera più sottile, ossia a livello epigenetico. Sono quelle sostanze che la scienza definisce “Endocrine Disruptors”, che a lungo andare perturbano il funzionamento del sistema nervoso, endocrino ed immunitario.
E il danno non è solo per noi. Come anticipato, i cambiamenti epigenetici possono essere ereditabili e quindi trasmessi alle generazioni figlie (non ci stiamo intossicando soltanto noi, ma anche gli uomini di domani).
Se poi facciamo mente locale e ci rendiamo conto che ad ogni emozione che proviamo, il nostro cervello produce sostanze chimiche che hanno azioni a cascata su tutto l’organismo, viene da fare una considerazione.
L’ansia, la paura, la rabbia, la tristezza (..la lista è lunga.. ) possiamo percepirle fisicamente. Ci batte il cuore, si chiude lo stomaco, si gonfiano le vene, sale la pressione.. Questo perché produciamo trasmettitori che attivano determinate funzioni cellulari.
Più l’emozione è persistente, più le cellule si abituano sul nuovo assetto, che tenderà a divenire stabile e preferenziale ( ossia in condizioni simili, anche se meno intense, la cellula sceglierà quel tipo di reazione perché “abituata così” ) e trasmissibile. In letteratura fioccano studi sull’animale da laboratorio sottoposto a condizioni di stress la cui ansia o minore socialità si diffonde fino a tre generazioni con marcatura epigenetica. Non sono pochi nemmeno quelli inerenti la gravidanza o le prime fasi di vita di un neonato in cui “l’assetto emozionale” della madre in primis e della famiglia poi incide epigeneticamente sul nascituro, modulando l’asse dello stress in maniera scientificamente rilevabile.
La raccomandazione dietro a tali considerazioni è facilmente intuibile.
Se è l’ambiente a modulare il Dna e non il contrario, prendiamocene cura.
CONCLUSIONI
Quindi, che la pensiate come Crick – la vita è programmata nel codice genetico, siamo inscatolati nel nostro DNA – o come Waddington – la vita prende appunti sul genoma man mano che scorre – il mio consiglio è di curare il vostro ambiente.
È lo stile di vita che fa la differenza, un concetto in continua espansione. Se fino a qualche tempo fa ci si riferiva facendo menzione più che altro di alimentazione e attività fisica (la cui rilevanza permane), oggi sempre più scienziati e medici vi accorpano tutto ciò che fa parte dell’esistenza di una persona e che incide sul suo tenore.
Da quando l’uomo è comparso su questo pianeta ha sempre fatto i conti con il suo ambiente, ha modellato la natura e ne è stato modellato. L’interazione dura da millenni e durerà tutto il tempo in cui continueremo a popolare la Terra.
Negarlo equivale a bendarsi gli occhi, di qui il mio consiglio:
meditate, praticate ciò che vi appaga, ascoltate musica, scegliete il lavoro che fa per voi, frequentate persone a voi affini, limitate le preoccupazioni, insomma, vivete una vita il più possibile allineata alla vostra natura e che vi assicuri un benessere a trecentosessanta gradi.
Essere predisposti a una malattia non vuol dire contrarla, ma nemmeno il contrario.
Per la salute vostra e di chi verrà dopo di voi.
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FARMACIA DI MONTELUPONE SNC DI STEFANO E ROBERTO MONETA
 

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